Beato Daniele e sei compagni

Nel 1227 il giovane Ordine francescano viveva con grande entusiasmo la fase aurorale della sua vita missionaria. Sette francescani (dirigeva allora l’Ordine frate Elia) fecero vela dalla Toscana per la Spagna con l’intenzione di recarsi successivamente nel Marocco per convertire gli infedeli.
A capo del gruppo c’era Daniele, originario di Belvedere in Calabria e già ministro provinciale, mentre gli altri si chiamavano Samuele, Angelo, Domno (o Donulo) di Montalcino, Leone, Niccolò di Sassoferrato e Ugolino. Dopo una breve permanenza in terra di Spagna, in due scaglioni a breve distanza l’uno dall’altro, si trasferirono a Ceuta nel Marocco.
Era un atto veramente coraggioso, perché sapevano che le autorità locali avevano proibito qualsiasi forma di propaganda cristiana. Svolsero per qualche tempo delle attività presso i numerosi mercanti di Pisa, Genova e Marsiglia che risiedevano nella città, poi, verso la fine dell’anno, decisero di iniziare la predicazione tra i musulmani. Nelle strade di Ceuta, parlando in latino e in italiano (non conoscendo la lingua locale), annunziarono Cristo. Le autorità ordinarono la loro cattura: i missionari, dopo essere stati sottoposti a vari interrogatori, furono invitati a convertirsi all’Islamismo ma poi, per la loro irremovibilità, vennero decapitati.
I mercanti cristiani occidentali recuperarono i loro corpi straziati e li seppellirono nella periferia nella città. Appena possibile li trasportarono
in Spagna.
La scena rappresentata è drammatica. Daniele stringe con forza nella mano un crocifisso per impedire a un soldato di sottrarglielo. Tre frati attendono la morte con un gesto di rassegnazione: hanno le mani in pronazione e i polsi incrociati che nel linguaggio iconografico indicano inazione. “È un gesto di personaggi che manifestano la loro impotenza, o subiscono le conseguenze negative di azioni inique”.
Un altro frate è legato a un palo. Altri due giacciono a terra con la testa tagliata